24.9.06

 

Luciana Gravina. M'attondo il giorno 

[poesia -14]


M’attondo il giorno

Potrei mettere in conto anche questo,
anzi metterlo in tondo questo giorno a casa,
cento di questi no, ma a tondo mi viene
bene. Ne annodo le punte sul fuoco,

gli stiro le cocche nel mese, sul fuoco e nel fumo
respinto dal vento sui panni abbozzo al tranello
di marzo, sforcicchio il camino. Poi

mi rimetto in cammino, anzi sur le chemin
de fer, col giorno a tondo in testa e il fumo
dentro la veste, col giorno in carta
stagnola e finchè il sole ritaglia sul mare

onde ondine indette bavose, che clikko
dal mio chemin de fer, il giorno mi attendo,
gli aggiusto le ore per metterlo a conto.

(Per flauto e oboe, p. 32)



1.

Lucente fu l’inizio a favola infinita
(voglia di ciglia piena) un’avventura
d’aria che a naufragio e di sabbia
e mare a mare aggiunga.

Linea di monti a lingua bianca e grigia
toccarmi duna e volo
adagio avanza a mano lago fatta
gabbiano d’acqua scura e vento.

Elle libeccio a luce a lento a lassa
(lasciate ogni speranza voi…?)
larga sagoma d’aria, d’arnia, d’astri.

L’astro a distanza do orizzonte ceda
ad ali ferme a nuca bassa passo
di passo forte calco

(I sonetti imperfetti del mio amore, 38)


Acqua di pelle scalza

Acqua di pelle scalza ora questo
lento di ventre e gravido risveglio
bimba-mattina schiocco di giornata
muri di prati e di verdi giganti.

La pazienza è un letale asso tinnante
accidia alla mia porta, nervo offeso.
smemoriarla là, la scorza della spocchia
tra bussola e piramidi, là, sblablarla.

Domenica di luce balza agli angoli,
scricchiola sui segnali. Alla tua mano
nutre rabbia e pazienza, alla mia spalla

sfianca il nero. Qui l’aria è tiepida
sposta il limite, accende altre avventure
alla partita persa, al miracolo.

(Intermezzi, p. 46)

Versi tratti da "M'attondo il giorno" di Luciana Gravina
(Collana di poesia "Il pane, le rose, le spine" diretta da Natale Antonio Rossi)
Edizioni ArtEuropa, Roma 2003
LUCIANA GRAVINA è nata a Buonabitacolo in provincia di Salerno, ha vissuto in Lucania per più di vent’anni e attualmente vive Roma. Nel tessuto della poesia di Luciana Gravina, pulsano i fili di un’eclettica cultura che si dispiega e si dipana in un gioco di intersezioni, rimandi, opposizioni, che avviluppano e catturano il lettore in un vortice di stordimento in cui spesso “la parola –come lei stessa scrive – non è accolta dall’orecchio, ma le sbatte contro e cade sulla pelle, perché è bene che entri dalla pelle e dai pori e che sbattendo faccia pelle d’oca”. Concettosa, difficile, talvolta inafferrabile e oscura, come lo è la vita e l’essenza profonda dell’esistere, la Gravina porta nei suoi scritti tutto un vasto esperienziale conscio e inconscio di donna-poeta, e tenta attraverso l’antisintassi e la deformazione della parola, il recupero della parola stessa nei suoi connotati primordiali e originari. Si rintraccia tra i versi di M’attondo il giorno un rifiuto dall’ovvio e della staticità: la sua poesia è magmatica e in movimento, aperta ad associazioni di senso e a soluzioni sempre nuove, vertiginose e mai scontate.
by Maria Pina Ciancio

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18.9.06

 

Biagio Russo. Il pezzo della salute 

[poesia -13]

Vecchi d’inverno

Le acacie infilano i rami
tra le nuvole dell’orizzonte.
S’aggruppano per resistere
alle folate della tramontana
che ha già scacciato dalla piazza
le foglie vecchie e i vecchi.

Vecchi ora
nelle case vecchie e buie
piegati sul calore con le palme aperte
a bruciare sul calore con le palme aperte
a bruciare lo sguardo
come legna secca
tra il brusio delle fiamme.

Nei mesi invernali, il furore degli elementi sgombra la piazza, riappropriandosene. La vecchiezza non si oppone al corso delle stagioni, ma si piega, rintanandosi in tuguri dove l’unica luce è quella farneticante del fuoco. Per compagnia una disperazione infinita.

***

Zi Rocco

Zi Rocco pisciava
nei portoni e negli angoli
della piazza

Sul ballaturo di Arturo
mimava col bastone
tarantelle e oscenità.

Non era mai solo zi Rocco:
sfotteva quando
nessuno lo sfotteva.

E a chi gli ricordava la morte
lanciava insieme al bastone
bestemmie e maledizioni.

Ci sono personaggi che vivono la piazza simbolicamente, diventano parte di essa, della sua prospettiva, della sua storia. Chi immagina la piazza non può non considerare le acacie, le panchine, le facciate… e questi personaggi un po’ strani, allegri o saturnini, ritualmente maniacali. Vivono la piazza come un’estensione della propria casa. Innati attori che recitano sul più vasto proscenio che la collettività ha messo loro a disposizione.
E si muovono con il senso dello spettacolo. Non c’è cosa che accada in piazza che non li veda protagonisti, o indiretti e partecipi osservatori. Vederli al di fuori della piazza, in rioni “lontani” decine di metri, è sconvolgente.
A non vederli in piazza si fa finta di preoccuparsi.

***

Il vino di marzo

A Marzo la botte del vicino
non ha più spillato vino.
Per questo moglie e figlia
dall’alito colpevole
sono state massacrate.

Sciagurate per tre giorni e tre notti
hanno ululato nella stalla
sedute digiune
su due ciocchi di quercia.

Hanno bevuto a labbra strette
l’insipido latte di mia madre
scesa a mattutino
sulle punte.

Le case del centro storico hanno enormi muri comuni. Grandi orecchie di pietra levigata dalla fuliggine delle urla e dal vapore dei gemiti. Si condividono il fuoco e il sole. Si condividono l’amore e l’odio.

Versi tratti da "Il pezzo della salute"
Poesie (antropologiche) di Biagio Russo
Editrice Ermes, Potenza 2005


BIAGIO RUSSO (1962) è nato e vive a Spinoso in Val D’Agri. Il pezzo della salute è un libro originale, una raccolta poetica che curva verso la prosa e a cui ci si affeziona col tempo, come accade con i volti, i nomi, le strade di paese, i sedili di pietra all’aria aperta. Bozzetti asciutti e stringati, talvolta frammenti, sono accompagnati a piè pagina da brevi e illuminanti didascalie, che l’autore definisce “note antropologiche”. I suoi versi si nutrono di un immaginario collettivo (popolare) senza tempo, raccolgono gesti, consuetudini, atmosfere di strade, di bar e piazze di paese. E sul filo del tempo scorrono storie di ieri e di oggi, di personaggi visti, ascoltati, vissuti, e tra i gesti (che diventano riti) scorrono in sottofondo consapevolezze, odio, rabbia, amore, talvolta rassegnazione. “Il paese è un fiume immobile” recita uno dei suoi versi e da quell’apparente vita silenziosa, emerge lo sguardo e la voce dell’autore che con linguaggio talvolta crudo e singolare, tagliente come una lama da squarto, colpisce forte nel profondo, rende partecipi, e si imprime con la potenza e la forza dell'incisione.
by Maria Pina Ciancio
> Compar Vittorio in Lucaniart Voci - Scritture Clandestine
> Biagio Russo vince il "San Fele 2006" in LucaniArt News

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10.9.06

 

Mariano Lizzadro. Versi contro 

[poesia -12]

Poetando

L’ironia amara è un’arma degli sconfitti
che hanno piedi stanchi di volare.
La tristezza traballa dagli occhi del tempo,
di questo tempo ma cambierà.

Quando amore e solitudine ci rubarono:
cuore, tempo e scarpe da ginnastica,
incominciammo ad indurire le nostre vite,
ed a sperare in mondi migliori.

Il tempo cronologico, diverso da quello dell’animo,
restituisce sputando-le sentenze di morte e nitroglicerina
prima emesse unanimemente.

La fretta è un’arma per stupidi
che hanno mani da roditori,
consumano avidamente il tempo e nulla cambia.


Poesia non esiste

Non si può parlare di noi stessi.
Penne, fogli e voglia sempre ed ovunque.
La poesia è approssimazione, si descrivono momenti:
brevi illuminazioni, fuori oscurità.

Esistono posacenere, utensili, scatoloni,
e magliette zozze a mo’ di stracci, con le loro anime.
Esistono paure di tutto, perdono colore,
odore e suono, in microcosmi alati d’infinità.

E vorrei volare infarcito di vaniglia,
e se fossi un musicista, se un perfetto studente e se un idiota,
e forse la voglia di cacciare questo miasma che si ha dentro,
ma la poesia no, non esiste.


Numerica

Tre depressioni, tre divinità, tre amori, tre spasmi,
tre bastioni, tre affinità, tre cuori, tre miasmi.
Tre è l’animo mio, senza casa, patria o dio, tre è la vita,
tre gatti, tre fatti, tre è la forza della vita.

Quattro morti, tre amori, due perdersi, un’anarchia.
Sette volte vidi sei luoghi e cinque volte ne fui felice.
E nuovamente, quattro morti, tre amori infelici,
due volte che mi persi e una sola anarchia, la mia.

i versi tratti da "Parole Contro" di Mariano Lizzadro
Quaderni di Scriptavolant, Potenza


MARIANO LIZZADRO appartiene alla generazione degli anni settanta, ed è nato a Potenza dove risiede. La poesia di Lizzadro vive di un’affamata energia ed è in movimento verso quella prosa in cui i versi si allungano in ampie sequele di azioni e narrazioni. Parole contro è la sua seconda raccolta, ed è attraversata da uno sguardo che si muove rapidissimo, che spalanca senza riserve spazio, tempo, senso dell’esistere, che osa associazioni di senso, che fa trattenere il respiro per poi distenderlo al largo. Parole Contro ha una scrittura caleidoscopica che tende allo smontaggio della trama e dei concetti attraverso ripetizioni di suoni, talvolta insistenti (assonanze, consonanze, allitterazioni) per indagarli, trattenerli, poi trasfigurarli e ricomporli. A tratti angolosi e ruvidi, i suoi versi sono in stretto rapporto con la “musica”, pieni e densi di sentimenti, di affetti, di vissuto, di un’eticità autentica. Un punto di vista originale quello di Lizzadro, una ricerca ora affannosa ora giocosa di qualcosa che è al fuori o dentro di sé. Forse un senso. Forse una direzione.
by Maria Pina Ciancio

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