23.11.06

 

Rocco Saracino. Giorni irrevocabili 

[poesia -19]

Mi crederanno?

Non più strada. Non più terra.

Non più rive senza porto,
non cadaveri lungo l’orizzonte.
Sarà la patria la vela maestra:
ai compagni confesso l’addio,
ogni lettera un pianto.

Nella valle che domino a braccia aperte
sono stato signore e zappaterra.
Ho avuto sempre uno stendardo
conficcato sulla punta della lancia
ma oggi soltanto
ne scorgo i colori.

Non più sassi sulla mia strada:
ho un sole irripetibile,
conviene giocarlo bene.

Mi disse il fratello di sangue
che il cielo non ha ombra
nemmeno nei giorni di pioggia:
il fratello di latte negava
e intanto attizzava la brace
oltre montagne, arcobaleni.

Credo di poter mostrare a chiunque
che il getto del vulcano
riempie di sé il silenzio
e nulla può bastare.

Se sarò vivo è soltanto
perché qualcun altro
sarà morto.

E poi la terra girerà ancora
e nuove notti scorreranno
ma sarò qui
con folli come me
consumati
al mio fianco.

(4 febbraio 2005, h. 02.35 am.)

***

Sigillo

Ho firmato oggi il mio futuro.

Alla vita concessa
un’altra viene tolta.

Madre mia, perdona:
molte volte
giù dalle vie della fontana
ho lasciato consumare i tuoi piedi.

Perdona, o padre
perché mai esisterà vino
senza gocce di sudore:
protervo emetto giudizio
salvo poi arrendermi
dinanzi al fuoco che scalpita
e bere il tuo sangue
benignamente dannato.

Mi assolvo
per aver tradito
la mia stessa carne.

Se il torrente avrà piena
sarà perché ho fatto
ciò che avevo esattamente immaginato:
il vento a frantumare la corrente
e un foglio vergine
dove confessare in silenzio
peccato e redenzione.

(9 aprile 2005, h. 01.25)

versi tratti da "Giorni irrevocabili" di Rocco Saracino
Testo inedito, pubblicato per gentile concessione a LucaniArt
(Tutti i diritti sono riservati all'autore)

ROCCO SARACINO (è nato a Cancellara l'8 Agosto 1972 e vive ad Acerenza in provincia di Potenza). E’ ancora inedita la raccolta “Giorni Irrevocabili”, ma mi ha profondamente colpito la linfa vitale e creativa che attraversa la parola di questo giovane poeta lucano. Rocco Saracino è uno scrittore che come dice Bukowski “rende possibile /l'impossibile, scrivendo parole,/ scrivendole...” perché c’è la vita intera che scorre come un fiume, straripa, inonda e si ritrae nella consapevolezza dei suoi versi. Le sue parole sono immediate e fulminanti, fulminee. Illuminano percorsi, nazioni, culture, terre conosciute e dell’altrove. E in quel suo raccontare semplice e veloce, drammatico eppure arioso di metafore, c’è sempre la ricerca di una precisa musicalità, un respiro ampio di condanna e di assoluzione, di peccato e redenzione, di approdi e di derive. Un essere sempre in viaggio, lungo strade e terre attraversate e da attraversare. Sono belli da leggere i versi di Rocco Saracino, ma sono ancor più belli da rileggere, perché ad ogni passaggio si dipanano sfumature, intuizioni nuove e inaspettate tra le pieghe di quel respiro ampio e trattenuto.
by Maria Pina Ciancio

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12.11.06

 

Vincenzo Corraro. Sahara Consilina 

[narrativa -5]



E poi come Camus, cominciò a scrivere sui manifesti appesi ai muri le dieci parole per lui in assoluto più importanti su cui si potevano fondare le sacrosante verità del mondo. La gente si fermava, si raccoglieva in piazza a gruppetti, osservava anche infastidita, qualcuno lo pigliava per paccio e se la rideva di gusto. S’era portato da casa un secchio di pittura rossa e un pennello e dopo aver diluito con l’acquaragia nel fondo di una bottiglia di plastica un bel grumo di colore cominciò ad imbrattare, come una furia, tutto quello che gli veniva a tiro sulle pietre e i muretti del corso.
***

La porterò nella terra di mio nonno. La lentezza e il silenzio e il non detto sono un nostro scrupolo di decenza, colori e odori sono invece una provocazione. “Che bell’odore di malva” dirà lei. “Ma che cazzo è ‘sta malva, me lo spieghi?”. Non ci sarà risposta la malva non cresce dalle nostre parti. Poi darà voce alla mia coscienza impersonale e anonima e annoiata e sofferente per quella solita ricezione distorta e rancorosa dei fatti esterni, facendomi dire cose che tengo dentro per abitudine e fedeltà.
***

L’ottantanove, di novembre, in paese. Me lo ricordo quasi uguale a quest’anno di nuovo secolo, ora che infilo a uno a uno, terza-seconda, i bivi per tornare a casa e nell’aria tiepida, col sole in faccia, abbasso i vetri per sentire l’odore bello forte di frasca d’ulivo bruciacchiata che i contadini ammucchiano accanto alle cunette per fare pulizia dopo la raccolta. L’ottantanove cadeva il Muro, a novembre la gente scappava ancora, ci diceva la televisione, e Carmen La sorella in diretta da Berlino appuntiva le labbra a culo di gallina per fare la voce calda e diplomatica e raccontarci, notes in mano, tutta commossa gli storici eventi, l’euforia dilagante: spunti infiniti per i temi d’italiano d’impegno e attualità, quelli che s’azzecchi i nomi dei ministri degli esteri e le trame politiche, gli accordi e la lettura utopica del fatto, ti ruota di certo il giudizio attorno al notevole spirito critico dell’alunno, che inchioda la massa al contenuto, attinto al temario sberciato sotto al banco.
Vincenzo Corraro, Sahara Consilina
Edizioni Palomar, Bari 2004
VINCENZO CORRARO (Viggianello, 1974) Ecco un bel romanzo! Sahara Consilina l'ho letto con l’entusiasmo di un’adolescente, animata e incoraggiata da un talento schietto, capace di coinvolgere appieno sin dalle prime pagine… Un romanzo ricco di verità, quotidianità, dialetti, odori e inerzie ataviche di questa terra. La storia è ben strutturata e sorretta abilmente per duecentosettanta pagine dall’autore e all’interno si avvicendano conflitti etici, azioni contrapposte da una diversa sostanza di pensiero che le muove. Ne viene fuori una realtà attuale lacerata, tra un bisogno di rivoluzione culturale a cui un gruppo di giovani laureati fuori sede dà sfogo, costituendo una lista per le elezioni comunali del loro paese e un pensiero dominante assimilato, indotto, inconsapevole in gran parte che però fa la “maggioranza”. Tutti fattori che popolano e caratterizzano la cultura lucana da sempre e che in questo romanzo vengono riletti in chiave contemporanea. Corraro capovolge la prospettiva narrante, non parla da escluso, da emigrante, ma da partecipe e complice. Non c’è retorica né compiacenza tra queste pagine, ancor meno giudizio, ma c’è il respiro del lucano di oggi, con ritmi e abitudini, reticenze e pensieri, slanci e rese. Un vero graffito reale fatto di privato, viaggi, cultura, libri, musica, ritorni che disorientano e feriscono, ma che per una volta almeno, di fronte alla prepotenza incolta del potere, non hanno trovato scampo nel disimpegno o nel compromesso.
by Maria Luigia Iannotti

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1.11.06

 

Felice Di Giacomo. Muti pensieri 

[poesia -18]


Smarrimento

Gioco di pensiero
nell’incerto mistero della vita
perso nel vuoto dell’infinito,
uragano nel cuore
ed onda gigantesca annienta la mente;
volare tra le stelle
con braccia serrate e adagiarsi
su un prato di luce
per perdere i volti degli umani
che volano superbi
tra i soffi di Dio raccontati
in momenti vissuti di Venere antica
e mosaici di vite perdute
tra false musiche stonate
spaziando di qua di là con la mente.

***

Suono

Tenere veglie notti con te
vivo il calare del giorno
di serali nuovo salire nel buio
sulle cime d’ombrose foreste,
mi fermo con te nel tempo.

Il silenzio appare più chiaro
non ci sono parole a far rumore
c’è il suono perfetto di te, amore mio.

***

Mattino lucano

Già nasce un nuovo giorno
si stendono a macchie informi
grosse pesanti nubi minacciose
per un cielo vasto e chiaro:
sulla collina un nibbio vola basso
scrutando con stridìo la preda;
tutt’intorno in questo spazio
non si ode che forte silenzio.


***

Pensiero

Brucia il cuore l’Amore
purifica la vita più silente;
Amore è caldo abbraccio
è fuoco di vita, uragano
sgombro da affanni
in fondo all’adorato silenzio.


Versi tratti da "Muti pensieri" di Felice Di Giacomo
Collana di Poesia Contemporanea "Vento Cardinale"
Prefazione di Daniele Giancane
Ed. Pugliesi, 2006

FELICE DI GIACOMO (vive a Nemoli in Basilicata). “Muti pensieri” l’ultima fatica letteraria di Felice Di Giacomo, noto poeta lucano è un’opera delicata e intensa. Il verso è attraversato da una sostanza poetica quasi elegiaca capace di produrre un dettato limpido ma interamente permeato da un elevato senso di mistero che crea una tensione unitaria tra i tanti frammenti estemporanei dell’opera che sembrano proiettarsi costantemente verso un approdo divino. Il mondo, la realtà, il tangibile, sembrerebbero ad una superficiale prima lettura elementi estranei alla poesia di Di Giacomo, ma è l’aspetto di negazione, di rifiuto, di voluta esclusione della purezza riconquistata dall’interazione con questi fattori che bisogna analizzare. E allora attraverso i muti pensieri leggeremo non solo la preghiera sgranata tra i grani naturali che spiegano la certezza del tempo, ma anche e soprattutto il grido di un’esistenza tormentata dalla crudezza della vita, dalla contemporaneità, dalle insistenti dissolvenze. La ricerca che ritma l’intera poetica di Di Giacomo e che in questa raccolta in modo particolare puntella e scandisce le fasi di un itinerario interiore sofferto, sembra tradurre un viaggio alla ricerca di un se stesso più autentico, un originario nucleo interiore in cui ricostruire la propria storia personale e spirituale, un fulcro da cui tenere fuori quanto di tossico e dannoso produce la modernità.
by Maria Luigia Iannotti

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