24.1.07

 

Gennaro Grieco. Sequenze dell’accoglienza in terra 

[poesia -22]

... noi, / qui in basso, scriviamo / i nostri nomi mortali
. . ................................................................................ (Octavio Paz)
1.
Il viaggio è perché bisogna partire.
Convoglio sulla bocca del vulcano per sondare gli umori della terra,
per dare ascolto al sangue sulle spine.
Estremo gesto di una eterna malattia
come quella dei vecchi che hanno tutti la stessa mappa,
dovunque sul viso gli stessi solchi come le strade del tempo che passa,
come il tempo passato ad aspettare.
Perché si sappia, Gen, noi spendiamo la nostra voce ma
come i vecchi in eterno seduti lungo i muri della resa
noi siamo tutti questa atroce notte, l’arena e il volo a capofitto.
Siamo verde mattino poi ammasso della piena
(neve sciocca nell’acqua verso il mare).
Dapprima visi intabarrati e felici per la scoperta – siamo –
poi tutti disperati.

2.
Il dubbio, prima di partire,
sta lì accanto alla mappa in sorvegliata attesa.
Sta, metodologicamente; tarlo inquieto tormento dei millenni,
diffidenza in chiave di conoscenza.
Che fare di questo pianto nascosto?
delle risa costrette nella mimica conforme?
Togliemmo voce al patto di una storia esemplare,
scegliemmo un urlo inumano per dire di un’acqua avara
e di un cinico sole, per ingraziarci ciò che è se ci pare;
a turno spandemmo croci sui fumi della terra, e inopinati riscatti – poi –
sulle oramai sterminate ragioni.
Gesto propiziatorio è questa mano priva di aggettivi,
è il dito scarnificato che si agita
per una ripartenza.

3.
Questo sogno tremendo dell’armonia del mondo
per noi scimmie evolute col dono del linguaggio…
Può, la parola?, il canto piccato sulle spoglie?
La lunga querimonia che dal tempo ci viene
è memoria del sangue, perdio è la nostra storia!

Almeno stando al DNA, solo l’uno per cento ci affranca dalla liana.
Per genetica sorte, primato sui Primati è una onesta parola,
è dar nome alle cose: il silenzio ad Auschwitz,
sessant’anni oggi: neve e fumo dai comignoli.
27 gennaio 2005, Per non dimenticare
(disegno di Rocco Grieco)

Testo vincitore della IV Ediz. del Premio Nazionale di Poesia “Città di Sant ’ Anastasia” (Sant ’ Anastasia NA, 4 marzo 2006) e della VII Ediz. del Premio Nazionale di Poesia “Chiesetta del Monasterolo” (Brembio LO, 18 marzo 2006); nonché 2° premio “Etolia” (Castellaneta TA, 28 maggio 2005), 3° premio “Aldo Spallicci” (Castrocaro Terme FC, 24 settembre 2005), Premio Speciale “Anna Biella” (Mezzago MI, 22 maggio 2005), Finalista a “Il Lago Verde” (Casazza BG, 28 maggio 2006).
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14.1.07

 

Giovanni Di Lena. Non solo un grido 

[poesia -21]

Maturità

Bastano poche parole per capirsi
per abolire certe distanze insensate
e recidere la corda tesa ad oltranza.
Basta uno sguardo sincero
per smontare l’orgoglio fratricida.

Quando il sole tarda a sorgere
Il mio cuore non è felice.


Perdersi nel crepuscolo


Succede –Madre- che i tuoi figli
gridano la loro storia dai tetti delle case,
sfogano la loro rabbia sui precipizi autostradali,
posano le membra nel fantasma della voluttà.

Succede -Madre- che i tuoi figli
nella vastità dell’immenso
si sentano soli, piccoli, indifesi,
ed aspettino solo un sorriso
per liberarsi dalla paura.

Succede -Madre- che i tuoi figli si confondano,
non sappiano cosa fare,
dove andare
e si perdano nel crepuscolo
dolce e inebriante della sera…
e la mattina è tardi
per riabbracciarli.


Generazioni


Facciamo solo chiasso
nel susseguirsi delle stagioni.
Gonfiati di saggezza acerba
ci sarà difficile
aspettare giugno
per raccogliere i frutti.
A settembre
saranno vuoti gli stipi.


Il mio disagio

Non sempre
trovo parole al mio disagio
quando cedo
all’abilità della tua intelligenza
alla competenza della tua missione
all’inutile clamore
della mia insolenza

Si sbaglia: semplicemente!

Nella strenua corsa
di unire maglie slabbrate
alloggia la voglia
di allentare i fili
e perdersi nella sciatta convivenza
dove anche al grido d’Amore
sordo devi restare.


Tute sporche

Non perdiamoci.
Affrontiamo
con senso di giustizia
lotte e depressioni.

Non cediamo al ricatto.
Combattiamo le logiche sovrane
per difendere ogni giorno
la nostra vita.

Non abbagliamoci più
ai primi raggi del sole


i versi tratti da "Non solo un grido" di Giovanni di Lena
Ed. La Vallisa, Bari 2006

GIOVANNI DI LENA (è nato a Pisticci in provincia di Matera nel 1958, dove attualmente vive e lavora). Nella sua recente raccolta, Non solo un grido, ritornano i temi forti -civili e sociali- della sua poetica. Se da un lato la rabbia si è in qualche modo placata e i versi si sono come allungati e distesi, dall’altra la rimeditazione è piena ancora di slancio, di forza, di pensiero, delle esperienze di vita e della storia. E c’è la volontà purissima di denuncia, di ammonizione, di ragionamento, sia che i testi siano brevissimi, sia che abbiano un sviluppo più ampio. Serpeggia una bella omogeneità in questo nuovo lavoro di Di Lena, dove sempre, sia nei versi che lui stesso definisce “pubblici” sia in quelli “privati”, il discorso poetico ha una dimensione lucida, netta, esemplare.
by Maria Pina Ciancio

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7.1.07

 

Massimo Pallottino. Io aspetto nel buio 

[narrativa -7]











Quando udii lo squillo del telefono ero in un delizioso dormiveglia. Dovevo aver dormito sì e no cinque ore, senza accennare alcun movimento; l’idea di dover raggiungere il telefono in soggiorno e sollevare la cornetta non mi sfiorava neppure.
Le persiane della mia stanza da letto erano semiabbassate. La luce, filtrandovi come una nube leggera e slargando pian piano i suoi raggi, rischiarava una sola fila di mattonelle bianche, rilucenti ai bordi sui richiami floreali rosso tango. Girandomi verso il comodino riuscii ad inquadrare l’ora della sveglia: le sette e tre minuti. Questione di attimi. Sprofondai di nuovo a dormire e più tardi, appena sveglio, segnava già le otto.
Sollevandomi un poco sopra la testata del letto, guardai la mia immagine riflessa nello specchio quadrato dell’armadio di fronte. Sul comò di mogano addossato alla parete c’era il ritratto di Helen, la mia cagnetta che scorrazzava felice lungo la riva del mare di Forte dei Marmi – il disco rosso fuoco del sole, tramontando, svaniva lento all’orizzonte. Per qualche istante l’occhio mi cadde sull’altro ritratto sopra il comò, su quel viso angelico dai lineamenti delicati che portava lo stesso nome della cagnetta. Cercai di scacciarne il ricordo, riportando immediatamente lo sguardo sulla prima Helen.
Funzionava.
Quella mattina non l'avevo ancora sentita, non avevo cioè ancora udito i suoi passi leggeri, nè il suo abbaiare affettuoso da dietro la porta della camera per annunciarmi che un altro giorno era sorto già da un bel pò; dedussi che non si era ancora svegliata.
In pigiama me ne stavo seduto sul bordo del letto. Là fuori c'era la fuori c'era una nuova giornata: lunedì 5 settembre 2002.
Solo a pensarci...
Avrei portato la mia bestiola a passeggio in Piazza del Duomo, lo facevo sempre nelle belle mattinate di sole. Quella piazza era il luogo di Firenze che Helen amava di più; quando prendevamo a imboccare via de' Martelli leggevo nei suoi sguardi riconoscenti un affetto profondo e forse ineguagliabile. Helen scodinzolava felice. Talvolta riuscivamo a condividerla quella felicità.
(l'incipit del romanzo)

i Massimo Pallottino, Io aspetto nel buio,
Edizioni PeQuod 2006

MASSIMO PALLOTTINO (Rionero in Vulture, 1962). Un serial Killer che in due anni ha assassinato 10 donne tra i 37 e i 70 anni con tre colpi di pistola, due al cuore e uno alla fronte e che infine incide una “D” maiuscola con un coltello sotto l’ombelico della vittima. Un detective in pensione che colleziona monete antiche, che fuma la pipa ed è appassionato di Philip Morlow. Un uomo di sessantanove anni, Riccardo Conti, ricoverato in una clinica fiorentina, che vive con la cagnolina Helen e che si ritrova inconsapevolmente coinvolto nella trama dei misteriosi delitti. E poi tanti altri personaggi ancora in questo giallo-thriller di Massimo Pallottino Io aspetto nel buio, dal ritmo ora lento, ora rapido e serrato e dallo sviluppo labirintico e ambiguo. Riccardo Conti è il personaggio centrale intorno a cui ruotano tutti gli altri che appaiono sulla scena, ricompaiono, scompaiono, incluso il serial Killer. Tutti annodati tra loro da un misterioso filo conduttore: "Il codice della vita" e un’associazione Zen. Ambientato tra Roma e Firenze, è la sua prima pubblicazione, ma ciò che colpisce di questo esordiente di Rionero in Vulture è l'indagine minuziosa che fa della psicologica dei personaggi e la capacità, quasi maniacale e ossessiva, di registrazione-descrizione del particolare e dei dettagli.
by Maria Pina Ciancio
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