30.3.07

 

Un anno di blog! 

[30.3.06/07]
Oggi LucaniArt festeggia un anno di vita con 156 post pubblicati, 20.000 visite e 34.000 pagine sfogliate. Un risultato che ci rende soddisfatti di questo lavoro sulla scrittura che portiamo avanti talvolta con fatica e sforzo, ma sempre con tanto entusiamo e serietà. Approfittiamo dell'occasione per ringraziare tutti i collaboratori e i tanti affezionati lettori che ci sostengono con con i loro interventi e gli incoraggiamenti continui. Mapi, Gigia e Ro

(disegno di Rocco Grieco)

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22.3.07

 

Mimmo Sammartino. Un canto clandestino saliva dall'abisso 

[narrativa -8]

I fiati di tutti gli inverni si erano dati appuntamento a mezzogiorno in uno spigolo di terra affacciato sull'acqua. Una spiaggia desolata mostrava le cicatrici dell'ultima mareggiata. Il 4 gennaio 1997 un vento tagliente scuoteva la noia di un sabato come tanti. Il paese stava ancora smaltendo, a sorsi di caffè amaro, gli eccessi dei recenti cenoni. I giorni di quel piccolo mondo erano obbligati, da tradizione e calendario, a negare la clemenza di un digiuno. Per buonaugurio e rituale auspicio di abbondanza. L'antidoto contro la nausea restava un cicchetto e il bisogno impellente di una boccata di vento di mare. Vento da catturare fino a sentirselo scivolare nel circuito elettrico delle vene. Vento da masticare per restituire impeto al sangue e leggerezza al respiro. Il 4 gennaio 1997 il ronzio di una radio frullava parole nell'aria sporca di sabbia.” (p. 13)

Da qualche tempo si parla di pesche straordinarie, mai avvenute prima. Si bisbigliava di pesche maledette. Gli uomini di mare si ripetono una domanda: “Quando finirà il maleficio?”. E un pescatore, dopo aver succhiato lunghe sorsate da un collo di bottiglia, aggrappato come un naufrago a una seggiola sbilenca, sprofondato nella tristezza dei vapori del bar, farfuglia parole in solitudine. E racconta. Racconta, con gli occhi gonfi di lacrime e acquavite, le sua struggente avventura:

Ho sentito un lamento
in mezzo alle onde
un lamento che ha reso più fioche
le nostre lampare.
Era forse il pianto della luna?
O era grido di stelle?
Erano angeli precipitati da lontane galassie
O demoni del mare
che davano sfogo a un antico dolore?
O forse era solo il vento che gemeva nella notte
ululando memorie di sangue e tradimenti
e il prezzo di ferite per un perduto amore?”
(p. 29)

Ciò che restava del corpo era un viso pressoché intatto. Sopravvissuto, chissà come, allo scempio del sale e dei pesci. E alle lame dei divergenti. Il resto era un groviglio viscoso di alghe e di fango: un tronco informe era tutto quello che rimaneva di ciò che doveva essere stato, un tempo, un uomo. Era coperto da due camicie, tre maglioni, due pantaloni. All’anulare della mano destra, un brillantino rosso suggeriva una promessa pronunciata chissà dove, e chissà chi.
Lo avevano tirato sulla barca con le reti. E fu subito orrore. I marinai sbiancarono. Qualcuno sentì lo stomaco salirgli negli occhi e fu preso da improvvisi conati. Qualcuno si inginocchiò e si segnò con la croce. Qualcuno pianse. Allora il capitano dell’imbarcazione si fece coraggio: afferrò quei brandelli umani e li scaraventò fra le onde.” (p. 67)
8Un canto clandestino saliva dall'abisso di Mimmo Sammartino
Collana Il divano, Sellerio, 2006


MIMMO SAMMARTINO (Giornalista e autore di testi di teatro). Un racconto poetico dal tono civile e dal sottofondo lirico definirei questo libro, l’autore stesso parla di una “trasfigurazione lirica di fatti realmente accaduti”. E i fatti sono quelli drammatici della cronaca sui clandestini, che ascoltiamo e riascoltiamo quotidianamente fino al loro oblio. Sammartino ci riporta con delicatezza e forza pari ad una corrente maestra all’analisi dettagliata di uno dei più disastrosi naufragi nel Mar Mediterraneo da i tempi della seconda guerra mondiale, quello del 25 dicembre del 1996 in cui 283 migranti persero la vita mentre venivano trasferiti da una vecchia imbarcazione su un peschereccio maltese. La narrazione è rapida e trascina fino all’ultima pagina senza ripensamenti. Si ha come l’impressione d’esser guidati da quelle voci rimaste sepolte in fondo al mare e che fino a ieri continuavano a premere dalle viscere di una civiltà smemorata. Sammartino ha aperto loro un varco, con coraggio e abilità nel dosare il mezzo della scrittura facendovi coesistere nel dentro un lirismo puro, dal ritmo armonico, con una narrazione fresca e agile a dispetto della gravità del tema trattato. Un libro interessante, che convince soprattutto per la bella passione civile che trasuda e suscita.
by Maria Luigia Iannotti

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11.3.07

 

Raffaele Nigro. Falene 

[poesie - 26]











M
’appaurene ste facce de cera
e st’ucchie ‘mbitt li marm;
me vote e me fazz nu pìzzeche
pe li sulc assupate d’ucchie.
Acchessì vi sete priparate
a cantarm u tedeum,
cu l’ucchie sturt
e la cera ca me fece appaura’,
come s’avess fatti e u dann
d crià la litanie
d lu sunn?
Ah come m’abbuisce na merl
Ind a sti sulc e sti cere,
come m port u iurn e la frescura
d’u uind e d l’aria a la matena.Facete pace, non so ie
curu galiota ca pensate.
Faceme pace
o cge faragge steso ind u tavìute
la nott d la cacazz
a guardarv ca vi sete sfatt
a guradarm ca me sfazz
chiane chiane?

Mi fanno paura queste facce di cera/ e questi occhi sui marmi;/ mi giro e mi faccio un pizzico/ per solchi assiepati di occhi./ Così mi aspettate?/ Così vi siete preparati/ a cantarmi il Tedeum/ con gli occhi storti/ e la cera che mi incute terrore, / come se avessi commesso io l’errore/ di creare la litania/ del sonno?/ Ah come mi fa risorgere una merla/ tra questi solchi e queste cere, /come mi porta il giorno e la frescura/ del vento e dell’aria alla mattina./ Facciamo pace, non sono io/ quel galeotto che pensate./ Facciamo pace/ o che farò steso nella bara,/ la notte della paura,/ a guardarvi, voi che vi siete sfatti/ a guardarmi mentre mi sfaccio/ piano piano?
(pag. 9)

***

Quann haveia venn u vosc a l’Inzite
la nott non durmei.
P quatt sold vinnei attaneme,
vinnei la casa ndo s’accuglievn
l’angile d la bona nova.
P fa fuchee fiamm condr lu cile
P’appiccià lu sunn d r cose passate.Pure la veta mei passava,
vnei da na part e m priparai a scì a n’aute,
ern li spird vnìute da u Gargane
li pezzind c’avevn fatt u Pìscele, Chiuchiare,
Valleverd e ca restavn sopa la terr
P nu cicine, na quartana, nu curtidd arruzzinìute.

Passavn tutt, cone nu uind
e s priparavn a part p quer'Amereche
ca mang Colomb sapei si ng'era
dopp l'Amereche.
[...]

Quando dovevo vendere il bosco dell’Insito,/ la notte non dormivo./ Per quattro soldi vendevo mio padre,/ vendevo la casa dove tornavano di notte/ gli angeli della buona nuova./ Per fare fuochi e fiamme contro il cielo,/ per accendere il sonno delle cose passate./ Anche la mia vita passava,/ venivo da una parte e mi preparavo ad andare verso un’altra, /erano gli spiriti venuti dal Gargano,/ i pezzenti che avevano costruito il Pisciolo, Chiuchiari,/ Valleverde e che restavano sulla terra/ grazie a un orcio, a una quartana, a un coltello arrugginito./ Passavano tutti come un vento,/ si preparavano a partire per quell'America/ che neppure Colombo sapeva se ci fosse/ oltre l'America [...] (pag.14 )

versi tratti da “Falene” di Raffaele Nigro
Nino Aragno Editore, Torino 2005


RAFFAELE NIGRO (nato a Melfi nel 1947 vive a Bari dove è caporedattore alla RAI). Fanno parte della collana “Licenze poetiche” le Falene di Raffale Nigro, una silloge in lingua lucana che ha il merito di svelarci l’altra faccia di un romanziere, l’anima nascosta, le sfumature interiori e le zone d’ombra, quelle più recondite e intime di uno scrittore che fin dagli anni settanta ha fatto della narrativa il suo cavallo di battaglia. Sono versi "notturni" che Nigro sigilla sotto il simbolo ambiguo delle “falene”, insetti che hanno abitudini generalmente notturne e che come tutte le sfingi evocano al crepuscolo presenze inquiete e talvolta sinistre. E questo libro è fatto di presenze e di assenze che si affollano e prorompono dalla pagina bianca, evocandoci storie, fatti, memorie. Presente e passato che si annodano, senso del disfacimento e della morte, ma anche affetti ancora intatti, e il sentimento che vince su tutto “non c’è bisogno di acqua/ cresce da solo il sentimento quando la radice/ è profonda”.
by Maria Pina Ciancio
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7.3.07

 

Lorenza Colicigno. Canzone lunga e terribile 

[poesia -25]

............................................................Esordio
Per Ester *
Ti cerco a tratti come un sogno, oggi,
più vero dei miei veri affanni quotidiani,
mentre bella, leggera governi
il tuo ultimo estremo volontario volo,
gazzella oltre gli steccati del sesso,
rondine oltre i monti impervi delle ideologie,
acrobata nell’universo, afferrata per sempre
al tuo sogno grande
di donna, di femmina che domina
il tuo progetto di vita,
fino all’estremo impatto con la morte.

Ti cerco -mentre riemergi con tutto l’impeto tuo,
di idee di scelte di parole di azioni come un turbine
benefico dentro la mia coscienza – nelle tue parole estreme,
enigma ultimo per me,
indago nel ricordo inquieto della tua voce
atonale, d’un’altra ormai,
saldo con profonda pena questa tua voce
-il tuo addio- anello
Solido alla catena solidale delle tante
innumerevoli voci di donne che scavano
la loro vita in un solco di solitudine
-consapevoli- per sé e per tutte.

Come un estremo dono ne raccolgo
l’eco, dentro il solco della mia dignità
di donna, di femmina che tenta
il dominio del suo progetto di vita.

Per te per tutte.

(Coro)

Siamo in porto Isabella
nessun poeta modella più poete.

*Ester Scardaccione, avvocata, Presidente della Commissione Pari Opportunità di Basilicata dal 1995 al 1997, anno della sua morte.

8 marzo 2007, a una donna per tutte le donne

Il testo "Per Ester" è tratto dalla silloge "Canzone lunga e terribile" di Lorenza Colicigno, Nemapress Editrice, 2003.
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