26.5.07

 

Beppe Salvia. Un solitario amore 

[poesia -31]

Un solitario amore
Abbiamo nel cuore un solitario
amore, nostra vita infinita,
e negli occhi il cielo per nostro vario
cammino. Le spiagge i cieli, la riva
su cui sassi e rovi e il solitario
equisèto, e colli erbosi grassi
rioni, città dispiegate come
belle bandiere, e nude prigioni.
Questa è la nostra vita. Questi nostri
volti vagabondi come musi
di cani ci somigliano. Il vento
il sole le corolle rosse e blu,
i sogni mai sognati i nostri sogni.
Questa è la nostra vita e nulla più
***
A scrivere ho imparato dagli amici,
ma senza di loro. Tu m’hai insegnato
a amare, ma senza di te. La vita
con il suo dolore m’insegna a vivere,
ma quasi senza vita, e a lavorare,
ma sempre senza lavoro. Allora,
allora io ho imparato a piangere,
ma senza lacrime, a sognare, ma
non vedo in sogno che figure inumane.
***
Non ha più limite la mia pazienza.
Non ho pazienza più per niente, niente
più rimane della nostra fortuna.
Anche a odiare ho dovuto imparare
e dagli amici e da te e dalla vita intera.
M’innamoro di cose lontane e vicine,
lavoro e sono rispettato, infine
anch’io ho trovato un leggero confine,
a questo mondo che non si può fuggire.
Forse scopriranno una nuova legge
universale, e altre cose e uomini
impareremo ad amare. Ma io ho nostalgia
delle cose impossibili, voglio tornare
indietro. Domani mi licenzio, e bevo
e vedo chimere e sento scomparire
lontane cose e vicine.
versi tratti da "Un solitario amore" di Beppe Salvia
Fandango Libri, 2006
BEPPE SALVIA (è nato a Potenza il 2 ottobre 1954 ed è scomparso prematuramente a Roma il 6 aprile del 1972). Un solitario amore è l'antologia poetica pubblicata da Fandango Editrice che a circa venti anni dalla morte del poeta raccoglie quasi per intero la sua produzione letteraria, composta da poesie inedite e tre raccolte pubblicate postume: Estate di Elisa Sansovino (Quaderni di Prato Pagano, Il Melograno-Abete Edizioni, 1985), Cuore (Cieli celesti, Rotundo, 1988), Elemosine Eleusine (Edizioni della Cometa, 1989). Quella di Beppe Salvia è una poesia giovane, ma che racchiude in quel dire compiuto chiaro e talvolta lieve, tutta la drammatica caducità e finitezza dell'esistenza. "La sua poesia -scrive Zanzotto- ha una luce di giovinezza e di alba e nello stesso tempo qualcosa appunto di terribilmente teso verso lontananze imprendibili, lascia una parola lacerata fra gli uomini e la volontà di riprendere contatto con il cuore del mondo". Dietro ai suoi versi così disarmanti e ingenui, il riflesso di un "solitario" esistere, di un dolore "per le cose sognate", di una realtà vuota "di chimere", che come ha già detto qualcuno, forse "l'anima non può sostenere".
Su Radio3 Fahrenheit una poesia che Silvia Bre ha dedicato a Beppe Salvia.
by Maria Pina Ciancio

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13.5.07

 

Cinzia Zungolo. Sotto questa cenere 

[narrativa -9]



Il tratto che unisce passaggio a livello e incrocio dalla cartiera è alberi d'olivo, legati da due corde di muretti in pietra a secco. Le distesa, chilometri e chilometri di piante, è tagliata da una vena di catrame, la strada che stavano percorrendo. Brecciame, una cunetta, il prato dove posano i primi alberi, infine il grosso delle piante, sul drappo di reti di arancio, per la pesca delle olive quando è stagione. Gli oliveti sono d'africa, colore di tribù. Siedono in cinque o sei sui circoli di pietre e goodyear, dritte le donne, gli alberi contorti, capelli attorcigliati in code tortili e nerissime, i bulbi oculari giallastri e turgidi, due seni sulla faccia.
Stavano tagliando dritto, ora un proiettile di auto brucia contro il muro della cartiera dismessa. Le donne si sono voltate al botto. L'altra macchina ha sbandato, prima di affondare nella cunetta, il vetro impazzito in una ragnatela. Una figura curva è scappata in mezzo agli alberi e subito si è persa. Immobile, dallo scranno di collina, anche la città piccola ha visto.
Sono arrivato a martedì, seduto dove sono seduto, al bar dell'ospedale. Ieri era diverso. Ieri ero in ufficio, seduto come adesso, un piano di formica uguale, fettucce di spazi liberi e polvere davanti, c'è la tastiera, c'è il computer, ci sono le pile di fascicoli, c'è il tondo vuot intorno la bicchiere del Campari che ha un bordo di limore infilzato e gocciolante, passa il collega, sembra tirare dritto ai fatti suoi, invece torna indietro, si china, lo guarda, lo tira via con il pollice e l'indice, lo infila tra i denti. Succhiando va a chiudersi nella sua stanza. Dopo un pò fischietta. Si vede che l'ha sputato dentro il cestino, nel frattempo. Anche l'altro ieri era diverso. Domenica. (...)
(incipit del romanzo)
da "Sotto questa cenere" di Cinzia Zungolo
Collana "Tempora", Dario Flaccovio Editore, 2005
CINZIA ZUNGOLO (è nata nel 1963 a Potenza, attualmente vive e lavora a Verona). E’ un romanzo che viene dalla poesia “Sotto questa cenere” dallo stile pungente, brillantemente metaforico e dall’ampio ventaglio lessicale, illuminante e aperto a una moltitudine di significati. L’architettura del romanzo, oltre 400 pagine è complessa, tre storie si snodano parallele tra il celato e il non detto, si sfiorano, si riconoscono per assonanza talvolta, o associazione di senso. Quella del protagonista e Martina, di Gioia “zoppo fallito” e sua moglie Maria, della banda di Toro, Vito, Olindo, Recchia e gli altri. Tutti personaggi, uomini e donne in movimento verso qualcosa o qualcuno, al tempo stesso vittime e carnefici. Tutti sotto questa “cenere”. Tutti irrimediabilmente falliti e cronaca da giornali. Un romanzo difficile, poetico e spietato questo della Zungolo, stimolante per quello stile sfuggente e quella realtà solo apparentemente sfiorata da una scrittura sincopata che spezza continuamente il senso, spaesandolo, dislocarlo nella pagina in un'armonia di chiari e scuri e di ritmi che catturano e disorientano. “Nello scrivere mi faccio portare dal ritmo, dai suoni –dichiara l’autrice in una intervista- il lavoro sulla scrittura è per me almeno tanto indispensabile quanto, per uno scultore, quello sui materiali".
by Maria Pina Ciancio

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6.5.07

 

Domenico Brancale. Frantoi di luce 

[poesia -30]

I corpi sono isole nella luce. La solitudine è pienezza.

Non solo io ma pure in cielo qualcosa si rifugia nel volo. Lo strascico d'un lampo.

Sorpreso dal respiro di un raggio me ne andavo con l'dea fissa di doverci morire ancora mille volte sulla faccia della terra, prima di serrare una volta per tutte i nervi degli occhi al laccio della morte.

Il fiato di diecimila cammelli ha sorpreso il mio risveglio. E' già l'ora del flagello del sole.

Nella controra mi sega le braccia questo maledetto respiro che si stagna nei pensieri.

Tutto si fa cuore. La natura delle cose è il motivo di un'altra vita. La palpitazione. Non è forse questo lo sterminato sentiero dove il nostro spirito assediato dal desiderio vaga e sferza il fascio dei nervi.

Un uomo prima o poi si deve capacitare della propria esistenza.

Le voci mi sono così vicine, si stringono nelle braccia per sorreggere le mani che affrontano il pensiero.

Se non ci fossi più qui dentro di me vorrei essere dappertutto.

da Frantoi di luce di Domenico Brancale Hervé Bordas
Libro d'artista a turatura limitata
MAVIDA, Reggio Emilia 2006

DOMENICO BRANCALE (è nato nel 1976 a S. Arcangelo in provincia di Potenza e attualmente vive a Bologna). "I corpi sono isole nella luce..." colpisce la fisicità delle parole di Domenico Brancale, fatta di sangue e nervi, dallo scatto rapido e dal verso breve, dove i corpi e la carne sono attraversati dalla luce, sventrati e disfatti, e dove il desiderio di un contatto, di penetrare e possederere ogni cosa è struggente, perchè la "carne finisce sempre nella carne". Frantoi di luce è un'opera in cui è pressochè assente il buio e la notte "il peso del sonno è quasi nullo, si dorme per sfinimento" e si snoda tutta nel tenero tenero flagello della "luce", in quella lotta tra la vita e il laccio della morte, tamburata a ritmi frenetici fino allo sfinimento dei sensi, fin quando è il cuore che "ha bisogno di fermarsi".
by Maria Pina Ciancio

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