21.9.07

 

Alfonso Guida. Appunti su uno stanziamento 

[poesia -38]

...che poi abbia senso andarsene o restare
qui fra un luogo e un corpo che del luogo apre
finestre mamillari e del corpo altre
leggere sintonie curiose ai nervi
messi in questa nicchia abbandonata irta
di faggine e giocattoli di pioggia
lo spazio breve in realtà è più che altro e oltre
se stesso lunghissimo, un vuoto fatto
pneumaticamente come a raggiera
da un bulldozer, dosaggio perifrastico
del suo deponente ammaraggio sopra
banchine o rivierasche monotonie
la casa è stata svuotata e ora dorme
perchè ha capito che dentro può starci
solo il nero balbettante umanesimo
dai suoi stessi veli di frangia assolta
con pudore dal tortile avellano
seminudo inchiostro di conchiglia ora
messa contro l’orecchio per sentirne
la voce afosa, quel vociare baltico
dell’eremita appannato dal suo orlo
di macerazione carbonica e poi
la testa, l’immemore planare in due
...ti mette tristezza citare Gerico
non riesci a seguire fino alla fine
come invece vorresti un concerto jazz
per via del suono di tromba e nascondi
la sciarpa nel corrimano incompiuto
come quel girare su scale a chiocciola
dà il capogiro e il mondo entra veloce
liquido esterrefatto nel principio
di nausea che ti sale in gola, pezzi
d’intonaco raschiato contro i rami
del pino, le chiocciole-faro intorno
l’intrusione spontanea nel futuro
tra le salmodie dei ritardi in presa
netta, è lì, dove ti vien tolta l’aria
che senza respiro devi decidere.


*

...luce, alterata tensione nervosa
dell’insegna e del prologo accanito
contro lo spazio e goccia d’attenzione
sfilata da una fatica che addossa
la notte al fianco freddo e mette in tasca
le mani col portacenere in due ore
pulito e prosciugato come un resto
di segatura tra stipite e soglia
come il mondo amato a distanza eppure
negato nell’andare incontro all’acqua
fiorita del burrone. Qui toccando
lo spazio ogni materia lede i singoli
vuoti tra primo e secondo minuto
ledere perfino il graffio e il contorcersi
dell’orologio che vedo alto dietro
le case illustrate a portici spenti
nel cuscino di nebbia su cui passo.
...le forme aperte m’inseguono e portano
via lo scoglio, l’abbaiare consunto
del suo sfrigolamento. Camminare
come fosse scrivere quattro distici
sul camice bianco che opera in stanze
di allusione, nel drittofilo a greca
di un tavolo su cui viene lasciato
del pollo guasto e una vaschetta bianca
di marmellata. E’un togliere continuo
questa resistenza all’anonimato
dell’unanime. Una scodella piena
di stracci e il ritiro sociale visto
come valore del sangue distorto
cercando una sedia accanto al pattume
del cortile in cui viene acido il senso
del sudore, le gocce traslocate
fratturando gli scalini, sbrecciando
la febbre del cibo sul cui orlo gira
nera come un filatterio la prima
mosca del mattino, sorella mosca
battuta dal tovagliolo ghiaioso
che stride, ruota sorda ai tasti freddi
di un pianoforte astratto, aereo, sorpreso.
...la timidezza roca e fulminata
dei morti passa per queste vie buone
fra desertici battelli in cui a bolgia
si schiude l’inezia dell’usurante
sventolio dei surrogati cosparsi
di barbariche strie d’impastatrici
qui nel fondo dove non so affrettarmi
per sfuggire e ritrovare il fischiettio
dei ligustri di quand’ero bambino
tolto ai vivi e al mondo salvato, solo
primo uomo dopo la morte dell’aria.


Versi inediti di Alfonso Guida, da "Appunti su uno stanziamento"
San Mauro Forte, aprile 2007

ALFONSO GUIDA (San Mauro Forte, Matera 1973) “Appunti su uno stanziamento” è un lungo poemetto, scritto nell’aprile del 2007 e ancora inedito. Si compone di poesie scritte in endecasillabi "sui margini scaleni di un verbo doloroso che ancora trattiene” (a. guida). Un linguaggio complesso e interiore, magmatico, ma lucido e consapevole caratterizza questi versi articolati su più livelli di lettura: i viaggi della mente, lo spazio fisico, il senso dell’isolamento, il dolore, la solitudine errante.
Siamo di fronte a un verso strutturato, fatto di pieni e vuoti, di lontananze e vicinanze, di passato e presente (l’intrusione spontanea nel futuro/ tra le salmodie dei ritardi in presa netta) di vita e morte; un verso che tende al superamento dell’orizzonte emotivo individuale e che conduce alla sperimentazione di un percorso dialettico ampio e articolato, aperto a una serie di possibilità di sdoppiamento della voce.
Una poesia caleidoscopica e “frammentaria” –nonostante l’apparente unitarietà e compattezza strutturale- che si dà un ordine e lo distrugge immediatamente, senza titoli e senza punteggiatura, uno scavo della lingua nella lingua, alla ricerca di cifre che possano riscrivere la vita. Un prodigio della creazione.
Altri versi di Alfonso Guida su LucaniArt Voci.
by Maria Pina Ciancio

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2.9.07

 

Mariolina Venezia. Mille anni che sto qui 

[narrativa -11]



In quel pomeriggio di marzo del 1861 che la storia rese famoso per altri motivi, Concetta partoriva senza la levatrice. Cumma Rachele, la mammana che aveva fatto nascere tutti i bambini di Grottole e molti altri ne aveva spediti al creatore con gli infusi di prezzemolo e il ferro da calza, era ormai troppo vecchia per esercitare e si scomodava solo nei casi disperati.
Concetta istruiva le figlie fra un grido e l’altro, perché ormai sapeva a memoria come comportarsi, ma questa volta la cosa si presentava difficile perché il parto era podalico. A forza di spingere, Costanza le aveva ridotto la pancia tutta un livido, e Albina, che non perdeva occasione per dare addosso alla sorella, glielo stava rinfacciando dicendole che era tutta colpa sua se le cose non stavano andando come si deve. Licandra, in mezzo alle grida della madre e agli strilli delle sorelle, aveva sentito uno strano vocio sotto casa. Il suo primo pensiero andò ai briganti, delle cui gesta, nel bene e nel male si parlava dappertutto. Si affacciò emozionata, perché in cuor suo stava dalla loro parte. Appena informata dell’accaduto era scesa nel magazzino dove aveva potuto verificare l’ineluttabile gravità dell’accaduto. (p. 22)

Giuseppe Amodio, figlio di Rocco, era partito per le Americhe che era solo un ragazzo. A Napoli, dove era andato a prendere il bastimento, aveva visto il mare per la prima volta in vita sua. Appena arrivato davanti a quella immane massa d’acqua che si muoveva da tutte le parti mandando un odore mai sentito che si mescolava a quello del catrame delle navi, gli si erano rizzati tutti i peli del corpo e le gambe gli si erano piantate a terra come se all’improvviso avessero messo radici.
Avevano dovuto trascinarlo come un ciuco imbizzarrito, perché ormai erano già state pagate le centocinquanta lire del biglietto e le cento del sensale che ci volevano per partire, e l’avevano spinto per forza nella stiva. Aveva vomitato per tutto il tempo che era durata la traversata. Con le budella che gli si arrotolavano e lo stomaco che sobbalzava guardava dagli oblò quell’elemento nemico che dall’alba al tramonto si tingeva di sangue. (p.71)

“Mille anni che sto qui” di Mariolina Venezia
Collana I coralli
Giulio Einaudi Editore, 2006
(nella foto, ritaglio di copertina del libro)


MARIOLINA VENEZIA (è nata a Matera nel 1961 e attualmente vive a Roma). Un ritaglio di foto. Un sorriso accattivante e ammaliante e la serietà maestosa di una donna. Si contrappongono e si completano le due figure di copertina in bianco e nero sul nuovo libro di Mariolina Venezia Mille anni che sto qui. Un romanzo bello, che hai voglia di non finire e trattenere tra le mani. Una saga familiare ambientata nella Lucania più arcaica ed essenziale dell’entroterra, in cui si snodano le vicende secolari e straordinarie di una famiglia costellata di innumerevoli personaggi: Don Francesco, Concetta, Albina, Candida, Colino, Mimmo, Alba e tanti altri ancora… Padri, madri, figli, ma soprattutto donne, con i loro amori, i loro sogni, le loro delusioni, la loro caparbietà. Colpisce la capacità della scrittrice di tracciare e annodare destini, l’ironia e la levità quasi surreale nel raccontare le avversità della vita in questo romanzo corale, fatto di gioie e di sofferenze, di amori e tradimenti... Ma soprattutto colpisce la forza che Mariolina Venezia ha di svelare e raccontare in sottofondo la storia di un paese del Sud nei suoi risvolti umani, sociali e nei suoi cambiamenti epocali. Un libro magico, ambientato in una terra “senza tempo” che non ha nulla da invidiare alle saghe della tradizione letteraria sud-americana. Intenso e appassionato, dinamico e lirico.
(Romanzo vincitore del Premio Campiello 2007)
by Maria Pina Ciancio

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