11.7.06

 

Christian Raimo. Ricorrenze 

[Narrativa -6]

“Che noi siamo il colloquio e la nebbia”

Nel 1986 mi trasferii con tutta la famiglia da Potenza a Roma. Fu uno degli ultimi viaggi che feci in macchina con mio padre e mia madre. E l’ultimo che feci con mio fratello. Era il 12 maggio ed era uno di quei giorni di transito, di inespressive atmosfere celesti, di odori incomprensibili nell’aria, di cui la vita dei paesi più sviluppati dell’Europa, del Nord America, della Russia occidentale, cominciava a essere sempre più piena. Ero seduto dietro nella macchina, e nonostante la lucidità eccessiva per la levataccia, nutrita per via endovenosa ad agitazione, fibre allertate e bevande calde, quello che elaboravo mentalmente in quei momenti era quasi assolutamente nulla. Registravo il percorso e il paesaggio, ma non capivo se dovessi tenere a mente un’immagine globale o qualche dettaglio o che cosa. Le insegne stradali indicavano ogni chilometro che passava, ogni paesello ci dava il benvenuto e ci diceva arrivederci un minuto dopo, ma quella forma essenziale di nostalgia cutanea che è tipica e forse necessaria in questi casi stava solo fermentando molto molto lentamente, e di lì a poco avrebbe assunto delle fogge così inaspettate che definirla nostalgia anche oggi può al massimo far venir fuori un sorriso brevissimo, e forse ancora, leggermente, indifeso.

Si scherza, Lucio mi ha telefonato ieri mattina e mi ha riassunto i motivi per cui vive: ci sono due grandi concerti a metà marzo, e allora bisogna informarsi, lo zelo e l’acribia necessitano, prepararsi per uscite all’alba, prima dell’alba, le tende, e le botte, e la lotta accanita per riuscire a prendere i biglietti. Occorre appropinquarsi all’estasi, già ora, mi ha detto. Ripetere a se stessi la gioia estatica delle note che sentiremo, bearci delle possibilità molteplici delle esecuzioni. Dirsi grandioso, grandioso, senza smettere, neanche nel sonno.

Il motivo per cui dovemmo trasferirci da Potenza a Roma stava tutto nella ghiandola pineale di mio padre. Nella ghiandola pineale, diceva lui, ci sono tutte le scelte su cui non hai controllo. Che devi fare e basta. E Roma, bisognava prendere e andare, prima partivamo e prima ci toglievamo il pensiero. Fatto così mio padre, dava poche spiegazioni anche a se stesso, come se fino a una certa età ne avesse dovute, e ora, a trentanove anni, ne fosse completamente esentato. Rispetto ai suoi amici, pochi, di Potenza, che erano uno lo specchio dell’altro, il suo traguardo personale, che condivideva solo con noi, era riuscire a distinguersi, far sì che anche il suo corpo, anche la sua pronuncia non avessero nulla più a che fare con quei posti in cui noi eravamo nati e stavamo crescendo. Per me piccolo, e forse anche per mio fratello, mio padre era una figura misteriosa, che tendeva ad avvolgere se stesso in una sorta di mito fatto in casa con le sue mani. Cercava di plasmarsi addosso la figura dell’eroe, del matto del villaggio, del patriota, del pirata, e inclinava in questo modo verso delle forme personalissime di idealismo.

Le pompe funebri, per mio padre, erano la vera missione dell’uomo. Aver cura dei morti, stare a contatto con il dolore e il disfacimento, con la morte che non si spiega, era la maniera migliore per avere a che fare con la verità. Questo aveva spiegato a me e mio fratello fin da quando eravamo bambini. Dovevamo stare in ufficio con lui. In attesa delle chiamate. Dovevamo passare lunghi pomeriggi, in questo stato innaturale, aspettando che qualcuno chiamasse per scongiurare la noia, e scongiurando che non chiamasse nessuno, tentando di prendere confidenza con la noia. In questa attesa riscaldata da una stufa elettrica che mio padre voleva che tenessimo sempre al massimo, mio fratello guardava me che stavo lì a guardare un televisorino in bianco e nero dove si riuscivano a prendere solo i primi due canali della Rai. E io guardavo lui che faceva i compiti per tutti e due. L’agenzia, anche nel ricordo di bambino, era un posto piccolo, diciotto, venti metri quadri al massimo, e c’era spazio per una lampada sola messa su una scrivania striminzita attaccata al muro. Così ci eravamo divisi i turni per studiare, e cominciava lui per primo; ma alla fine, visto che i compiti che ci toccavano erano gli stessi, io mi adattavo a quello che aveva scritto lui, temi compresi: quello che riuscivo a fare era soltanto una rielaborazione neanche troppo impegnata di quello che mio fratello mi lasciava in bella vista sulla scrivania. Era una specie di accordo sottinteso o di abitudine o di amore fraterno.

da "Latte" di Christian Raimo
Minimum Fax, 2001

CRISTIAN RAIMO (Roma, 1975). In “Ricorrenze” come del resto in tutti i racconti di Raimo il presente dialoga con la memoria e sembra quasi interrogarla in un tempo costante di ricerca di senso, significati, risposte… I racconti di Raimo ricchi di immagini, fatti, dialoghi, pensieri e tempi vivono nella coerenza lucida di un presente parlato e pensato insieme, pervaso da un senso di incompiutezza esistenziale che trova di volta in volta soluzioni temporanee anche se il tutto si svolge con modalità che non sembrano mai assumere i connotati tragici…Un bel libro Latte che risale al 2001 con cui Raimo consulente della collana Nichel della Minimum Fax si è consegnato per la prima volta al pubblico, dove non si risparmia e ci racconta di una generazione di giovani complessa che sembra voler contraddire i tanti stereotipi degli ultimi anni. Non è lucano Raimo e non so quanto ci sia di vero sulla fuga da Potenza che narra nel primo racconto, ma di certo appare verosimile il bisogno di un adolescente di desiderare altre mete e altri spazi al di là del resistente provincialismo per affermare la sua voglia di libertà, un desiderio confermato dai tanti racconti della raccolta che non passa mai attraverso il trionfalismo dei personaggi narrati ma sempre rigorosamente attraverso le fragilità e i complessi tipici dei giovani di oggi che lo scrittore fa rivivere in essi… Un libro che appassiona per schiettezza e tenerezza, che affascina per la rara riflessività a cui invita quando quasi senza accorgercene ci troviamo a vagare insoddisfatti e curiosi sul terreno di una trasposizione della realtà fra le più autentiche e probabili prodotte negli ultimi anni da un giovane…
by Maria Luigia Iannotti

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