25.10.07

 

Domenico Brancale. L'ossario del sole 

[poesia -39]


"Non sarò mai al sicuro dentro la parola"


Non oso pensare
alla foglia che stride nelle ossa

dove sei

ancora una volta sei
il reggimento della mia impazienza
il fuoco della lingua
che veglia sul nostro accordo

tutto può essere

noi siamo la nostra mancanza
(p.123)
*
Niente più lamenti
nè gridi che raspano
la gola dei rimorsi

sentire che possono accadere le cose

Assolve le carni
questo abisso di sole in agguato
(p.74)


*

Non siamo che cuore nell’intimo
e non mi stanco di ripeterlo
anche se in un sussulto
mi copre le palpebre
lo straccio del buio

Sempre nelle mani ho stretto forte
il fascio di canne
tremanti nella fiamma
e ci sono sceso fin giù
nel dirupo che addomestica
i volti duri nella piena
di questa pietra
(p.102)

versi tratti da "L’ossario del sole" di Domenico Brancale
con una nota di Michele Ranchetti
Collana fondata da Mario Luzi, Passigli Poesia, 2007
(foto di M.P. Ciancio -lettura di Domenico Brancale - Rionero in Vulture, 18-08-07)

DOMENICO BRANCALE (è nato a Sant’Arcangelo nel 1976 e vive a Bologna). Queste nuove poesie di Domenico Brancale vivono nel solco della continuità e dell’autenticità. Sono lame affilate che tagliano in un unico gesto un silenzio contratto e supremo. Quasi un grido. In un presente dove, ogni passato momento diventa un eterno momento, presente e assoluto, sotto una luce diretta e spietata che acceca “un sole piantato nel cranio/ avvampa le ali/ pure del destino”. Uno spazio aperto e metaforico sull’ossario del sole, sulla traccia di un’assenza “Nel mortaio di pietra/ rimani tu/ in fondo ancora un nome/ da pestare a sangue”.
Una poesia dal verso breve, solido e intenso dentro “i pugni stretti”, che si apre su un dolore assoluto che ingloba ogni cosa e non lascia spazi e fessure alla luce. Eppure non si può non amare la bellezza e l’incandescenza di questi versi intarsiati di pieni e vuoti, di italiano e dialetto, che ardono di pathos, che stanno dentro la vita con tutta la loro bellezza tragica e disperata. In un equilibrio perfetto, prima dell’oltre.
Leggi altre poesie di Domenico Brancale su Pillole (di)versi.

by Maria Pina Ciancio

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3.10.07

 

Andrea Di Consoli. "lago negro" 

[narrativa -11]

(brani tratti dal racconto "Shakespear")

Non so perché quest’estate facesse così caldo. Ad Aversa presi un espresso e mi diressi verso Lecce. Tiravo fuori la testa dal finestrino e sentivo l’aria calda. C’era solo questo a fasciarmi la fronte: aria calda, vertigine dalla mattina alla sera.
Nelle cuffiette ascoltavo Don Pizzica. E avevo caldo.
Quando ho i capelli lunghi, sudo di più; faccio le dita a spazzola e mi pettino i capelli all’indietro. Poi scopro che sono inzuppato alla schiena, all’inguine, al collo.
Quest’estate ci fu la presa d’atto. Mia e dei miei amici.
Abbiamo scoperto, quell’estate che stavamo imparando a capire il mondo. Tutto questo non succede mai in anni, in decenni, ma in mesi, settimane.
Era estate e imparammo che c’era un meccanismo preciso, e pure che c’era soluzione ai più grandi problemi del mondo.
C’era nostalgia, che certe notti si risolveva in pianto. Io piango così: all’improvviso sento un nodo alla gola, poi mi bruciano gli occhi e la pupilla si allarga. Ma le lacrime non scendono sulle guance. Non ho mai saputo perché non piango completamente, come le donne [...]
(p.7)

*

Certe notti ho paura. Prego a bassa voce nella mia piccola casa. A quest’ora della notte mio padre si è già svegliato e forse piange per me, per questo suo figlio che ha i giorni contati. Me lo immagino immobile e grosso sul suo letto, con gli occhi spalancati e la canottiera sollevata sulla pancia.
Mi piacerebbe se la morte fosse un luogo raggiungibile in macchina. Mio padre mi ci porterebbe con la sua Ford e nel tragitto parleremmo normalmente, come abbiamo sempre fatto. Una volta lì, prima di spingermi nel burrone, mi abbraccerebbe e sentirei per l’ultima volta il suo odore forte di terra e di sudore –il suo odore di cavallo.
Poi mi spingerebbe urlando, urlando come un cavallo al quale stiano strappando gli occhi dalla testa.
(p.13)

da "lago negro" di Andrea Di Consoli
L'Ancora del mediterraneo, Napoli 2005
(in alto, particolare di copertina di Stefano Ricci)

ANDREA DI CONSOLI (è nato a Zurigo da genitori lucani nel 1976 e vive a Roma). Ha il taglio della prosa poetica illuminante sulle cose, questo libro di racconti di Andrea di Consoli. Venti storie sul Sud, fatte di sguardi e viaggi nella memoria e nei cambiamenti sociali di un tempo e di un’epoca. Un tempo che raccoglie altri tempi, viaggi che racchiudono altri viaggi. Uno scavo nel dramma generazionale, nella crudeltà del quotidiano e degli affetti, dove narrazione e “pensiero riflessione” si annodano a maglie strette. Storie raccontate talvolta in prima, talvolta in terza persona con la forza della passione e della partecipazione, attraverso un linguaggio semplice e colloquiale, che si nutre di un tessuto che svela in profondità quella bellezza e quel dramma che si scambiano il giro in un istante. Ma è quando la narrazione scivola piacevolmente verso approdi "diartisti" (penso a testi come quello riportato sopra) che l’autore riesce a regalarci pagine di una bellezza davvero toccante, autentica e vera. Un libro poetico lago negro, fatto di sangue e carne, da cui emerge dirompente la solitudine e la nostalgia, il fallimento, il dolore che lacera e spacca, e che solo talvolta redime.
by Maria Pina Ciancio

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