28.5.06

 

Antonio Lotierzo. Poesie 1972-2000 

[poesia -7]

Cantina

Trepido cantuccio della disperazione
la botte annerita e i ragni
sfaldano cemento, imputridisce l’acqua
a rigagnoli forati fra ruvide pietre scure.

Nel forno paterno oggetti confusi riavvolti
sogni di polvere chiodi piedi di letto
manubrio di bici cernécchio cazzuola
dove passo un’ora di fresco far nulla.

Senza in niente sperare, un topo affogato
riporta la povertà, mancanza quotidiana
le catene per il ghiaccio due Pirelli al muro
sospese all’odore del vino più scuro del buio.

Tu non presenzi ai riti della vita ebbra
parli civiltà cittadine che angosciano le notti
rumori scontrosi qui attutiti dal nulla bacchico
d’un esistere scontrosi qui attutiti dal nulla bacchico
d’un esistere senza speranze puro disinteressato.


Mieli d’amplessi

Lo scavo nel tuo corpo flessuoso
è sincronia d’un lusso
calmo che il sudore del desiderio
porge ai vibranti amanti lucenti.

La tua bocca, dopo rifiuti astiosi, concedi
in unione e, implacabile, scorazza
serpentina a rinfocolare l’amore,
insieme alle frequenti mani possessive.

La girandola del tuo corpo flessuoso
sposta gli spazi dei congiungimenti
e inarcata vibri colpendomi a risacca
mentre frugo gli aperti fiori inumiditi
d’un piacere scontroso, a occhi chiusi.

La tua profanazione finisce col mio flaccido
e immielato turgore. M’accoccolo
al tuo madido seno e la tua carne
m’affoga, vertigine quieta
di sprofondamenti, immemori deliri.

Il ricordo

Il ricordo, operoso tappo
nell’acque dei giorni, troppo
chiara cicatrice segnala eventi
e li risuscita dal calendario sulle fronti
in un gorgo di lancette impazzite.

Rosa agostana

La rosa agostana l’incantava.
A noi appena alzati mio padre
la mostrava a trofeo nelle mani
cretose e la felice stanchezza
che l’aria terrigna offre alla vita.

Senza rimproveri, la posava
alla residua foto,
a fronte al candeliere,
di Graziella e andava su a lavarsi,
dove la luce apre labirinti di pelle
e dimentichi le domande senza risposta.

Vendetti quella terra. Un lembo di dolore,
dispersi nei vortici
urbani quei trenta denari.
Ancora la memoria offre gesti
né una tregua viene,
in un lampo, a dare acqua a quei solchi.

da "Poesie 1972-2000" di Antonio Lotierzo
Edizioni Libraria Dante & Descartes, 2001

ANTONIO LOTIERZO (Marsiconuovo, 1950) si è avvicinato giovanissimo alla poesia, adottando in un primo tempo il linguaggio della cosiddetta neoavanguardia. Poeta di grande intensità e rigore concettuale racconta una realtà lucana dilaniata tra la sua atavicità e la tensione verso la difficoltosa costituzione di una nuova identità. Dotato di straordinaria personalità poetica e stilistica sintetizza la ricerca di un senso storico e personale attraverso l’uso di una parola che procede dall’erosione dei significati alla formazione di una consapevolezza piana quanto dolorosa del tempo, manifesta in versi compatti ed efficaci orfani ormai di un certo barocchismo di termini che pure aveva saputo stupire nelle sue prime opere. Colto e raffinato, Lotierzo, produce un verso provocatorio attraverso un’ironia costante ed acuta supportata da una ragione solida che interroga in modo scrupoloso il lettore…Un verso distinto e raro, che sfida la banalità e il non senso, ed emoziona come una tiepida alba dopo una notte lunga e insonne! http://www.antoniolotierzo.com/
by Maria Luigia Iannotti
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21.5.06

 

Maria Luigia Iannotti. Radici di vento 

[poesia -6]


Il vuoto pesante

Verticale e scrostato è il silenzio
sulle facciate chiuse delle case
il sole di settembre ci cuoce
come il pane nei forni che fumano
bruciando l’aria tremula d’infinito
e s’espande vago il suo profumo
nel profilo vuoto della luce
(2002)


Radici di vento

Alle radici del nulla
riandai con passo sudato
per sola ansia di raggiungermi
ricongiungermi
e per poi ritornare
nello spazio possibile
(in cui il sole mi guarda)
slegata da me stessa


La forza che vedi

Mi contempli come roccia
su cui picchia il sole
e l’acqua non consuma.
Ma i barbagli che tu cogli
non sono che fugaci attimi
sgorgati dai trafori

Nacqui come questa terra
forte sì
ma traforata

(2000)



Mia madre

Profilo
d’una assenza di rumore

Cornici di pareti
che imprigionano l’aria
taciute nel pudore

Io crebbi chiudendo di tanto in tanto
gli occhi nel silenzio

Il vento corre indistinto
nel tuo passo senza sguardo
vagamente impastato all’attesa
che ti fissa non più veduta

Io fermo l’innocenza degli occhi
allentandola su ogni cosa da sempre


Forza
è l’esattezza inconsapevole della luce
che resiste ai mutamenti di stagioni
nel volgersi rinsaldante
della mia piccola memoria sfregata
(2002)


Gente del sud

Immersi nel fondo
corvino
delle nostre pupille
stiamo
coi pensieri divaricati
al sole
su terra crepata
aperta all’improbabile
Gente addestrata all’eco
dei propri passi
al rogo fragoroso
della propria anima
all’aprirsi
improvviso
di precipizi sotto i piedi
sogni virulenti preparati
al balzo da sconfino

nascono cuori in questa terra
gonfi come tramonti d’autunno
prenatali già votati al tremore

***

Del sogno si può alimentare la luce
e si può sperdere tanto di sé
fino a non esistere più
col peso del corpo che cammina

come i Santi
con l’anima in più parti

versi tratti da "Radici di vento" di Maria Luigia Iannotti
Edizione Il coscile, Castrovillari (CS) 2003


MARIA LUIGIA IANNOTTI è nata nel 1978 e vive a Trecchina in Basilicata. Mi colpì subito di questa prima raccolta la profondità della voce, quel suono vibrante e serio, seppure vigoroso ed energico, che modulava i suoi versi e mi riconduceva in quel territorio dello spirito che è tipico del nostro tempo e del post-moderno. Questa raccolta Maria Luigia l’ha scritta all’età di poco più di vent’anni eppure i suoi sono versi già pervasi da un senso di concretezza e di compiutezza con approdi a soluzioni sempre originali e mai scontate, tramite uno stile espressivo in cui naturalità e poesia-pensiero risultano strettamente annodate insieme.
Una poesia di affetti e di ascolto che non spiega, che non ha pretesa di dare risposte. Si trattiene sulla soglia. Al contrario sollecita domande. La ragione che corre a fondamento decide ciò che è vero e ciò che è falso, ciò che è degno di memoria, ciò che è degno di oblio, ciò che appartiene all’essere e ciò che è ricacciato nel nulla. Sbriciolando l’immane massa del silenzio, la parola poetica di Maria Luigia insorge liberamente e ripercorrendo il vuoto, la memoria perduta, la crisi di valori raccoglie nell'essere quella spiritualità sottesa riflettetente e assorbente la luce.
by Maria Pina Ciancio

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15.5.06

 

Gaetano Cappelli. Il primo 

[Narrativa -3]

Ero il primo della classe e la mia media era la più alta in tutto il liceo, eppure fino a che non mi ero messo con Filippa nessuno sembrava neppure essersi accorto di me. Ora invece tutte le ragazze mi facevano il filo e non c’era una festa cui non fossi invitato. Ma la vera conferma di quello che stava accadendomi la ebbi quando ripresi a passare sul corso. Il corso di una piccola città di provincia è una specie di palcoscenico naturale o meglio, visto che ci si passeggia, una passerelle su cui si alternano intere generazioni di affezionati instancabili precorritori, ognuna con i propri divi, i comprimari, le semplici comparse.

***

La vita è davvero assurda figli miei, assurda. A che vale prendersela?” era stato il commento filosofico del mio costernato, nonché moribondo genitore, che, ascoltando i nostri discorsi, s’era però miracolosamente distratto dalla sua tetra nenia per poi addormentarsi di botto, trascorrendo finalmente una notte serena. Tanto serena che il giorno dopo lo vedemmo, come non fosse mai stato ammalato, alzarsi e radersi fischiettando secondo la sua abitudine. Poi, dopo che ebbe fatto colazione, dispensandoci i suoi sorrisi bonari, prima di tornarsene in camera a vestirsi, gli sentimmo annunciare che sarebbe partito quella mattina stessa.
Avemmo tutto il tempo di chiederci per dove e che altri guai avrebbe combinato e in che modo impedirglielo, finchè non vedendolo ridiscendere fummo noi a salire nella sua stanza per trovarcelo bello lungo disteso sul letto, una mano sotto la nuca e il mozzicone spento tra le labbra nella posa spensierata della prima sigaretta.

***

Ci vuole infatti un tipo particolare di idiota per scrivere romanzi: uno che sacrifichi la propria esistenza passando intere giornate chiuso in una stanzetta come un mistico medievale, trascurando l’affetto dei propri cari, mettendo in gioco matrimoni, amicizie, salute e carriera, dannandosi la vita, insomma; uno che si concentri totalmente su qualcosa il cui fallimento economico è assicurato, per guadagnarci al massimo qualche articolo sui giornali, se tutto va bene, nella maggioranza dei casi lo sguardo di compatimento del genere umano e che, soprattutto, sia così insensatamente pazzo da pensare che le fantasie con cui imbratta centinaia di pagine, di solito nascosto nella più remota provincia, e senza nessun santo in paradiso, possano mai interessare qualcuno – e la cosa più pazzesca di tutte è che, a volte, proprio questo accade.

da "Il primo" di Gaetano Cappelli
Marsilio Editore, 2005


GAETANO CAPPELLI (Potenza 1954) Una bella storia, fatta di sogni ciechi e deliranti, quella di Guido Cieli, il protagonista de Il primo, che finisce col vivere la vita in una meccanica affermazione di sé che si tradurrà poi in una evidente negazione delle sue naturali inclinazioni e della percezione del tempo arreso alla sera in cui il suo grande amore scelse di non sceglierlo…Invaso da una caparbia follia di essere, di ferire chi non lo ha riconosciuto come primo, asseconderà una tensione costante verso l’affermazione e la definizione del suo ruolo nella vita, verso il riscatto dal proprio fallimento. Straordinaria in questo romanzo è senz’altro oltre all’ironia e alla leggerezza, espressioni di una sintesi stilistica matura e compiuta, la capacità dello scrittore di far convivere passato e presente in un tempo narrante di abile composizione, costellato da sogno e realtà, in cui lo stesso Cappelli compare nelle ultime pagine per chiudere il senso delle storie, lasciandole semplicemente aperte, nell’estremo e geniale tentativo di farle e farci credere ancora nella bella “corsa” della vita…

by Maria Luigia Iannotti

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7.5.06

 

Domenico Mancusi. Sotto un cielo piccolo 

[Narrativa -2]
Scipione era ancora agli sudi nella città dei papi. Isabella tutti santi giorni, scriveva per lui lettere accuratissime. Vergava pagine e pagine, che copiava e ricopiava in bello stile, provando cento calligrafie. “Eccoti qua la colomba del tuo germano” disse la baronessa madre agitando tra due dita la lettera appena recapitata dal corriere. Quella volta pareva come indispettita. “Voi! Voi!!!... Comunicate solo tra voi, senza che mi rendiate conto per niente… -si lagnò, ponendo con un gesto nervoso la missiva nelle mani della figlia-. Ce lo facesse sapere se almeno a lui arrivano notizie di vostro padre. Facesse mettere in mezzo pure qualche ecclesiastico… A che serve tutta la stima che si guadagna in quel di Roma? A che serve che studia studia studia? A che serve che, se lo vedessi in questo momento, nemmanco lo riconoscerei? Chè non lo vedo da anni e anni! A che serve, ditemi voi?” concluse nel pianto la signora madre. E uscì dalla stanza sbattendo la porta, lasciando la figlia sbiancata dall’imbarazzo.
Col cuore in mano, Isabella scriveva al suo gemello “Scopro con trepidazione che sottomettermi alla vita in questo sito mi procura una mordacissima pena. Mi fanno compagnia solamente le pagine gialle dei vecchi libri: finestrelle piccole piccole, spazio per due soli occhi sognatori…”.
Una lettera ogni due settimane: il tempo, i giorni, i mesi, intere stagioni, misurati da quella clessidra lenta, lentissima.
“… mi piange il cuore saperti avvilita, ardimentosa di cultura e civiltà; mentr’io, baciato dalla fortuna, vivo accanto ai maestri che insegnano l’uso retto della facoltà della mente e della ragione.
Mia cara, ti dico di non desistere, di perseverare nell’esercizio dell’apprendimento: il tuo animo gentile dà ragione alla bontà alla bontà del nostro genitore che ti aveva sue eletta; avrà giustizia, ne sono certo. Sì, sì., la fortuna si sottrasse proprio di strumenti e le comodità giuste per le tue vocazioni, è vero. Ma vedo che le tue lettere progrediscono ugualmente, riverberano pensieri sublimi… Le canzoni che mi mandi costringono il cuore; ritengo siano degne di assurgere agli onori più alti… Sono ammirato anche dalla carta tanto ben ornata dal tuo pugno delicato; essa è sempre pulita e senza difetti: ogni parola è tornita con pazienza d’artigianato…”. (p.120)

***

Una donzella par tuo deve pur mettere il pensiero alle cose di questa vita. Lascia perdere Isabella; per il bene che ti voglio! Lascia perdere i tuoi studi, i libri, le scartoffie. I poeti sono uomini che scrivono di donne ad altri uomini. Non che tu debba attender solo all’ago, alla conocchia e men che mai all’arcolaio, figlia mia: ma i libri son roba pericolosa per le fanciulle: l’infatuazione che ne hai non giova a nulla: ritarda e offende la tua formazione di donna” sbottava di tanto in tanto la baronessa madre. Certo che paventava male cose, ad onta di quanto aveva proferito quella volta la maliarda, leggendo il mistero dei segni nel precipitato nero del rovagno.
“Per amor dl cielo, signora madre… -controbatteva Isabella, col broncio discreto-, lasciate che l’esercizio della scrittura mi allarghi i brevi confini di queste mura, di questa tristissima prigione, da cui ardirei fuggire con ogni mezzo. Dio sa quale balsamo consolatore sono i libri, quanto tormento io taccio scrivendo…”. Sapevo, sapevo bene quante passioni ella domava con la sola forza della sua penna pica! (p.122)

da Sotto un cielo piccolo di Domenico Mancusi
Pianeta Libro Editori, Potenza 1999
(disegno di Rocco Grieco)

DOMENICO MANCUSI è nato nel 1957 a Potenza dove vive e lavora. Sotto un cielo piccolo è un romanzo storico, ambientato nella Basilicata de XXVI secolo. Una narrazione realistica su base documentaria, che ci offre una originale interpretazione della famiglia Morra, vista e raccontata da Giuditta la governante mora a servizio nel palazzo.
Il romanzo, ricco di particolari e precisione documentaria, rievoca personaggi, ambienti, fatti, conciliando invenzione letteraria e realtà storica con uno stile vivace ed avvolgente che nel lessico e nelle costruzioni ripropone echi e richiami del passato.
Accanto alla vicenda privata e alla tragedia di Isabella, la giovane poetessa tragicamente uccisa per mano dei fratelli, c’è la storia collettiva di un popolo e di un’epoca, quella di Favale (oggi Valsinni) e di un Sud arcaico, isolato e lontano dai grossi centri culturali e artistici. Una narrazione che nel rievocare l’atmosfera di un’epoca, fa luce sul presente dei fatti del passato.

by Maria Pina Ciancio
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1.5.06

 

Maria Pina Ciancio. Itinerari 

[poesia -5]

"Qualunque sia la direzione/ vado sempre a Sud"

Si rincorrono
sotto il cielo sghembo
dove nessun uomo
ha chiesto di sapere

il vuoto avanza
divorato
-in fuga
dai suoi figli senza storia

Nella piazza grigia
ho chiesto ancora
di restare
(Calvera, 1997)

*

Resto sui tuoi sogni scuciti
sotto la piaga di un sole ingrato

su questa terra asciutta e rossa
dove il tempo più non s'affanna
(Calvera, 1997)

*

E’ di mani callose
di vesti nere
dentro gli occhi vinti

la mia rabbia
taciuta
non urlata

soffocata
nel grembo
asciutto
di una madre
sconsolata
(Calvera, 1997)

*


(...)
sopravvivono
(uomini e donne)
alla memoria ferita
dal rancore dei padri

orribili complici
della morte in agguato
(Mazzana, 1997)

*
Lungo il Sinni
scavo memorie
attraversando i solchi
delle tue mani
e la terra
(Policoro, 1997)


*

Ritorno e ritaglio
a pezzi i giorni
per incastrarli
maglia contro maglia
in un tessuto di storia
(Tursi, Rabatana, 1997)

*

(Notte sul Sinni)
Guadiamo il fiume
a sud

ora che gli umori
della notte
sigillano nell’animo
le crepe
della storia
(Valsinni, 1997)


Faccio strade secondarie, attraverso montagne, dirupi, fiumare, fino ai calanchi, dove l'Appennino diventa d'argento sotto la luce bianca della luna. E poi i buchi neri, i sassi, la piana verde fino a Siris. Passato e presente. Qualunque sia la direzione vado sempre a Sud.

versi tratti da "Itinerari" -Appunti di viaggio 1997 di Maria Pina Ciancio
CARM - Centro Arte e Ricerche Meridionali, Cosenza, 2002
(nella foto Maria Pina Ciancio)

MARIA PINA CIANCIO nata da genitori lucani emigrati all'estero, attualmente vive e insegna nella sua terra d'origine. La voce della Ciancio è una delle più intense e coraggiose nella poesia lucana degli ultimi anni. Itinerari è un’opera di scavo dove il verso abile, netto e a tratti ostile storicizza e rivela al tempo stesso la vita interiore e quella dei luoghi. I frammenti poetici sono tenuti insieme da un linguaggio robusto e denso, quasi arcaico che rimanda ad un senso etico singolare, invisibile e costante capace di scuotere il lettore e di far ripensare alla quotidianità come ad un tempo attraversato da un’acuta e drammatica valenza esistenziale. La terra, la madre, lo svolgersi coerente e vario della natura, sono incarnazioni metaforiche che passano con efficacia in versi stringatissimi e spogli, e si compongono quasi in un piano consapevole d’appoggio, da cui rigettare la rabbia in brandelli di passione autentica e dolorosa. La tensione che si dilata e si fa compattezza nelle pause e nei tagli di significato conduce fino all’ultimo verso stordendo il lettore persuaso del senso rigoroso e violento dell’essere dentro alla vita, in un viaggio in luoghi fisici e non in cui l’orientamento verticale del canto lacera il silenzio e si fa bisogno assoluto di verità, rendendo così la poesia davvero tale e il mistero a cui tende un momento poetico di elevata sospensione eternante.
by Maria Luigia Iannotti

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